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domingo, 1 de agosto de 2010

Con piloto automático - Col pilota automatico



El cuento Con piloto automático fue publicado inicialmente en la Biblioteca Cervantes Virtual y traducido al italiano por María Elena Spikerman para publicarse en la revista Il foglio clandestino (Milán, Italia).
Ahora publico la traducción al italiano por primera vez en un medio virtual:

http://archivosdelsur-cuartopropio.blogspot.com/2009/10/cuento-con-piloto-automatico.html

Col pilota automatico


Araceli Otamendi


Traducción: María Elena Spikerman


Scrivo come chi dorme e tutta la mia vita è una ricevuta ancora da firmare”.
“Mi lamento perché sono debole e perché sono artista, mi intrattengo tessendo con musicalità i miei lamenti e ritoccando i miei sogni conforme il modo che trovo di farli più belli. Solo lamento non essere un bambino, per poter credere nei miei sogni, non essere un matto per poter allontanare dall’anima tutti quanti mi circondano”.

Fernado Pessoa

Quanto mi piacerebbe poter scrivere su della seta, tazze di porcellana e altre bellezze, magari su dei liuti o luthiers, e invece suona la sveglia alle sei e mi tiro su dal letto disposta ad affrontare questa nuova giornata che spunta. Sì, spunta e il sole inizia a scaldare ed eccomi di nuovo in piedi a prendere il barattolo del caffé dal frigo, ad aprire il rubinetto per riempire la brocca di acqua fredda, premo l’accensione della caffettiera bianca e premo anche quella del pici, i mails aspettano di essere letti mentre vado a lavarmi il viso con l‘acqua fredda per togliermi il sonno, gli occhi ancora quasi chiusi. Mi sciacquo gli occhi guardandomi allo specchio, voglio lavare il ricordo di quei sogni che non sono ancora certa di aver sognato. E il delizioso aroma del caffé circola per la casa, la invade come un folletto invisibile, verso il caffé nella tazza bianca che non mi sognerei mai di usare se solo fosse crepata e mentre lo bevo apro il rubinetto della doccia e l’acqua scorre, tiepida, calda, e anche il sogno scorre. Sogno folle, sogno surrealista, quante stranezze si sognano. La luce entra dalla finestra del bagno come nella canzone di lenon e maccartney ma era lei, lei quella che entrava nella canzone di John e Paul, ed era anche Lucy nel cielo di diamanti. Ci sono dei ragazzi che camminano sui trampoli, la scena circense si illumina in un teatro, chi sono? Io sempre spettatrice del mondo, perfino nei più reconditi sogni. Vado in cucina e un coniglio bolle in pentola, si rigira su se stesso finendo a pezzi, si moltiplica come un clone, come in quel racconto di Cortázar ma in questo caso non c’è nessuno che vomiti un coniglietto, il coniglio solo bolle in pentola. Povero coniglio bianco. Vado altrove, se potessi tornare indietro... Per prima cosa bisogna galleggiare, mettersi pancia in su e galleggiare, affondare la testa, prendere aria e mettere la testa in acqua. E’ fredda, tanto fredda. Non importa, con la testa dentro galleggerai come un pesce, raddrizza le gambe e lasciale molli, posso aprire gli occhi? Sì, certo. Piastrelle blu, tocco fondo, esco, tiro fuori la testa ed eccolo lì seduto sul bordo. Ancora lì, ti tengo io, lascia le gambe molli e galleggia, galleggia, l’acqua nelle orecchie è una sensazione brutta, strana. Muovi le gambe, la testa lasciala galleggiare, dopo saprai nuotare, ma se non galleggi non nuoterai mai. Fino a quando? Quando saprò nuotare? Ancora una volta. Il sole è nel suo punto più alto, è mezzogiorno. L’acqua è più tiepida e mi stanco. Galleggia, prendi aria, immergiti, ancora una volta, e ancora, e ancora. E un’altra giornata, e un’altra. Fai la morta. Ora che nuoti vai fino all’altra punta, una vasca in larghezza e poi una in lunghezza. Attraversare a nuoto la vasca, arrivare fino alla parte fonda, continuare, resistere, trattenere l’aria sotto l’acqua, risalire, respirare. L’acqua ora è fredda, tiepida, fredda. E il suo sguardo, lì, nelle mosse come se il fatto che io avessi imparato a nuotare lo tranquillizzasse Forse gioia, non so. Dormire, dormire, sognare. Sognare l’acqua, sono in acqua, devo attraversare, bisogna irrimediabilmente attraversare il largo della vasca quando tutti rimangono aggrappati al bordo, galleggiando, sono nata Toro, cosa ci posso fare. Ora non è lì a guardare, ora non c’è. Non so dove sia, ma non c’è. Il tempo va di nuovo avanti. Sento altre voci, sono in altri ambiti. Ora è notte. La festa è iniziata, si sente della musica, delle voci e anche il silenzio, è tutta un’illusione, un sogno. Tornare a sognare, sarà mai possibile? Sognare suona a sogno, a impossibile e tuttavia quella parola pronunciata da qualcuno convincente mi induce a sognare. Quella notte dormo e sogno, volo, sono su un aereo sull’oceano ed a un certo punto precipito in acqua da mille metri sul mare. E’ l’oceano blu e scuro, indovino la profondità mentre mi domando se sopravviverò a una simile caduta, a quella velocità. E nonostante plano in aria come un uccello e cado e nuoto e nuoto tra le onde, sono a galla, salva. Allora mi sveglio.
Bisogna affrontare una nuova giornata, mi asciugo con la spugna bianca e trovo ad aspettarmi sul tavolo il caffé caldo e fragrante. Viaggerò in treno, guarderò il fiume, lavorerò se posso, tornerò su un altro treno. Salgo su un radio taxi meglio, sta cominciando ad imbrunire, devo andare a San Telmo. La nueve de julio è la migliore opzione per arrivarci e lo spettacolo inizia al semaforo.
Dei giocolieri fanno il loro intrattenimento davanti alle macchine, le sfere girano, aspetto la musica, la musica delle sfere non arriva, o sì? La mano allungata dell’adolescente, qualche moneta da una macchina e il taxi parte sgommando. Le luci accese della nueve de julio sono il miglior spettacolo della sera. Se arriverò viva, penso, se arriverò viva a destinazione berrò meno caffé, telefonerò a quella amica che non chiamo da tanto tempo. Ci si ferma ad un altro semaforo. Fiaccole in mano ad una ragazza, in canottiera e pantaloni neri, capelli corti, occhi scuri ride, chiacchiera, corre in mezzo al viale, mentre due giovani l’aspettano tetrabrik in mano, il dolce vino come un sogno in bocca ai due ragazzi. La rivedrò il giorno seguente seduta sul piazzale che divide la nueve de julio, col viso assonnato e occhiaie grigie, tetrabrik sulle giovani labbra, due uomini giovani al suo fianco, quale destino aspetta quella donna? Ed è già giorno, le fredde luci della notte si sono estinte, il sole entra dalla finestra, mi accomodo in un angolino dove batte il sole. Mi alzo e metto il pilota automatico.

(c) Araceli Otamendi


(c) de la Traducción de María Elena Spikerman




Araceli Otamendi nasce a Quilmes, provincia di Buenos Aires, Argentina. E’ scrittrice e giornalista. Attualmente dirige le riviste digitali Archivos del Sur e Barco de papel . Ha pubblicato il romanzo poliziesco Pájaros debajos de la piel y cerveza, vincitrice del Premio El libro-Edenor durante la XX Fiera Internazionale del Libro di Buenos Aires nel 1994.

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