BLOG DE LA REVISTA DIGITAL DE CULTURA ARCHIVOS DEL SUR DESDE BUENOS AIRES - ARGENTINA- AÑO 19- EDICIÓN 229 junio de 2020 REGISTRO DE LA PROPIEDAD INTELECTUAL Nro. Nro.55060538-REVISTA ARCHIVOS DEL SUR LA REVISTA ARCHIVOS DEL SUR ES PROPIEDAD DE ARACELI ISABEL OTAMENDI -DIRECTORA- EDITORA: ARACELI ISABEL OTAMENDI-
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domingo, 1 de agosto de 2010
Con piloto automático - Col pilota automatico
El cuento Con piloto automático fue publicado inicialmente en la Biblioteca Cervantes Virtual y traducido al italiano por María Elena Spikerman para publicarse en la revista Il foglio clandestino (Milán, Italia).
Ahora publico la traducción al italiano por primera vez en un medio virtual:
http://archivosdelsur-cuartopropio.blogspot.com/2009/10/cuento-con-piloto-automatico.html
Col pilota automatico
Araceli Otamendi
Traducción: María Elena Spikerman
“Scrivo come chi dorme e tutta la mia vita è una ricevuta ancora da firmare”.
“Mi lamento perché sono debole e perché sono artista, mi intrattengo tessendo con musicalità i miei lamenti e ritoccando i miei sogni conforme il modo che trovo di farli più belli. Solo lamento non essere un bambino, per poter credere nei miei sogni, non essere un matto per poter allontanare dall’anima tutti quanti mi circondano”.
Fernado Pessoa
Quanto mi piacerebbe poter scrivere su della seta, tazze di porcellana e altre bellezze, magari su dei liuti o luthiers, e invece suona la sveglia alle sei e mi tiro su dal letto disposta ad affrontare questa nuova giornata che spunta. Sì, spunta e il sole inizia a scaldare ed eccomi di nuovo in piedi a prendere il barattolo del caffé dal frigo, ad aprire il rubinetto per riempire la brocca di acqua fredda, premo l’accensione della caffettiera bianca e premo anche quella del pici, i mails aspettano di essere letti mentre vado a lavarmi il viso con l‘acqua fredda per togliermi il sonno, gli occhi ancora quasi chiusi. Mi sciacquo gli occhi guardandomi allo specchio, voglio lavare il ricordo di quei sogni che non sono ancora certa di aver sognato. E il delizioso aroma del caffé circola per la casa, la invade come un folletto invisibile, verso il caffé nella tazza bianca che non mi sognerei mai di usare se solo fosse crepata e mentre lo bevo apro il rubinetto della doccia e l’acqua scorre, tiepida, calda, e anche il sogno scorre. Sogno folle, sogno surrealista, quante stranezze si sognano. La luce entra dalla finestra del bagno come nella canzone di lenon e maccartney ma era lei, lei quella che entrava nella canzone di John e Paul, ed era anche Lucy nel cielo di diamanti. Ci sono dei ragazzi che camminano sui trampoli, la scena circense si illumina in un teatro, chi sono? Io sempre spettatrice del mondo, perfino nei più reconditi sogni. Vado in cucina e un coniglio bolle in pentola, si rigira su se stesso finendo a pezzi, si moltiplica come un clone, come in quel racconto di Cortázar ma in questo caso non c’è nessuno che vomiti un coniglietto, il coniglio solo bolle in pentola. Povero coniglio bianco. Vado altrove, se potessi tornare indietro... Per prima cosa bisogna galleggiare, mettersi pancia in su e galleggiare, affondare la testa, prendere aria e mettere la testa in acqua. E’ fredda, tanto fredda. Non importa, con la testa dentro galleggerai come un pesce, raddrizza le gambe e lasciale molli, posso aprire gli occhi? Sì, certo. Piastrelle blu, tocco fondo, esco, tiro fuori la testa ed eccolo lì seduto sul bordo. Ancora lì, ti tengo io, lascia le gambe molli e galleggia, galleggia, l’acqua nelle orecchie è una sensazione brutta, strana. Muovi le gambe, la testa lasciala galleggiare, dopo saprai nuotare, ma se non galleggi non nuoterai mai. Fino a quando? Quando saprò nuotare? Ancora una volta. Il sole è nel suo punto più alto, è mezzogiorno. L’acqua è più tiepida e mi stanco. Galleggia, prendi aria, immergiti, ancora una volta, e ancora, e ancora. E un’altra giornata, e un’altra. Fai la morta. Ora che nuoti vai fino all’altra punta, una vasca in larghezza e poi una in lunghezza. Attraversare a nuoto la vasca, arrivare fino alla parte fonda, continuare, resistere, trattenere l’aria sotto l’acqua, risalire, respirare. L’acqua ora è fredda, tiepida, fredda. E il suo sguardo, lì, nelle mosse come se il fatto che io avessi imparato a nuotare lo tranquillizzasse Forse gioia, non so. Dormire, dormire, sognare. Sognare l’acqua, sono in acqua, devo attraversare, bisogna irrimediabilmente attraversare il largo della vasca quando tutti rimangono aggrappati al bordo, galleggiando, sono nata Toro, cosa ci posso fare. Ora non è lì a guardare, ora non c’è. Non so dove sia, ma non c’è. Il tempo va di nuovo avanti. Sento altre voci, sono in altri ambiti. Ora è notte. La festa è iniziata, si sente della musica, delle voci e anche il silenzio, è tutta un’illusione, un sogno. Tornare a sognare, sarà mai possibile? Sognare suona a sogno, a impossibile e tuttavia quella parola pronunciata da qualcuno convincente mi induce a sognare. Quella notte dormo e sogno, volo, sono su un aereo sull’oceano ed a un certo punto precipito in acqua da mille metri sul mare. E’ l’oceano blu e scuro, indovino la profondità mentre mi domando se sopravviverò a una simile caduta, a quella velocità. E nonostante plano in aria come un uccello e cado e nuoto e nuoto tra le onde, sono a galla, salva. Allora mi sveglio.
Bisogna affrontare una nuova giornata, mi asciugo con la spugna bianca e trovo ad aspettarmi sul tavolo il caffé caldo e fragrante. Viaggerò in treno, guarderò il fiume, lavorerò se posso, tornerò su un altro treno. Salgo su un radio taxi meglio, sta cominciando ad imbrunire, devo andare a San Telmo. La nueve de julio è la migliore opzione per arrivarci e lo spettacolo inizia al semaforo.
Dei giocolieri fanno il loro intrattenimento davanti alle macchine, le sfere girano, aspetto la musica, la musica delle sfere non arriva, o sì? La mano allungata dell’adolescente, qualche moneta da una macchina e il taxi parte sgommando. Le luci accese della nueve de julio sono il miglior spettacolo della sera. Se arriverò viva, penso, se arriverò viva a destinazione berrò meno caffé, telefonerò a quella amica che non chiamo da tanto tempo. Ci si ferma ad un altro semaforo. Fiaccole in mano ad una ragazza, in canottiera e pantaloni neri, capelli corti, occhi scuri ride, chiacchiera, corre in mezzo al viale, mentre due giovani l’aspettano tetrabrik in mano, il dolce vino come un sogno in bocca ai due ragazzi. La rivedrò il giorno seguente seduta sul piazzale che divide la nueve de julio, col viso assonnato e occhiaie grigie, tetrabrik sulle giovani labbra, due uomini giovani al suo fianco, quale destino aspetta quella donna? Ed è già giorno, le fredde luci della notte si sono estinte, il sole entra dalla finestra, mi accomodo in un angolino dove batte il sole. Mi alzo e metto il pilota automatico.
(c) Araceli Otamendi
(c) de la Traducción de María Elena Spikerman
Araceli Otamendi nasce a Quilmes, provincia di Buenos Aires, Argentina. E’ scrittrice e giornalista. Attualmente dirige le riviste digitali Archivos del Sur e Barco de papel . Ha pubblicato il romanzo poliziesco Pájaros debajos de la piel y cerveza, vincitrice del Premio El libro-Edenor durante la XX Fiera Internazionale del Libro di Buenos Aires nel 1994.
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miércoles, 21 de octubre de 2009
Cuento: Con piloto automático
Con piloto automático
"Escribo como quien duerme y toda mi vida es un recibo
que sigue sin firmar”.
“Me quejo porque soy débil y porque soy artista, me entretengo tejiendo con musicalidad mis quejas y retocando mis sueños
conforme el modo que encuentro de hacerlos más bellos.
Sólo lamento no ser un niño, para poder creer en mis sueños,
no ser un loco para poder alejar del alma a todos los que me rodean”.
Fernando Pessoa
Cómo me gustaría escribir sobre sedas, tazas de porcelana y otras bellezas, tal vez laúdes o luthiers, sin embargo suena el despertador a las seis y me levanto dispuesta a afrontar el nuevo día que despunta. Sí, despunta y el sol empieza a calentar y estoy de nuevo en pie sacando el tarro de café de la heladera, abriendo la canilla para llenar la jarra de agua fría, oprimo el botón de la cafetera blanca y oprimo también el botón de la pecé, los mails están ahí esperando que los lea mientras voy a lavarme la cara con agua fría para quitarme el sueño, los ojos aún casi cerrados. Paso el agua por los ojos mientras me miro al espejo, quiero lavar el recuerdo de esos sueños que no sé todavía si he soñado.Y el delicioso aroma del café circula por la casa, la invade como un duende invisible, sirvo el café en la taza blanca que nunca usaría si estuviera cascada y mientras lo bebo abro la canilla de la ducha y el agua corre, tibia, caliente, y el sueño también corre. Sueño loco, sueño surrealista, que cósas raras se sueñan. La luz entra por la ventana del baño como en la canción de lennon y maccartney pero era ella, ella la que entraba en la canción de John y de Paul, y también era Lucy en el cielo de diamantes. Algunos chicos caminan con zancos, la escena circense se ilumina en un teatro ¿quiénes son? Yo siempre espectadora del mundo, hasta en los más recónditos sueños. Voy a la cocina y un conejo hierve en el agua, se arremolina hasta quedar hecho una piltrafa, se multiplica como un clon, como en aquél cuento de Cortázar pero ahora nadie vomita un conejito, el conejo sólo hierve en el agua. Pobre conejo blanco. Me voy de ahí a otra parte, si pudiera volver atrás... Primero hay que flotar, ponerse de espaldas y flotar, hundir la cabeza, tomar aire y meter la cabeza en el agua. Está fría, tan fría. No importa, con la cabeza dentro vas a flotar como un pez, poné las piernas derechas y flojas ¿puedo abrir los ojos? Sí, claro. Mosaicos azules, agua cristalina, los ojos bien abiertos en el agua, toco fondo, salgo, saco la cabeza y él está ahí sentado en el borde. Otra vez, ahí, yo te sostengo, dejá las piernas flojas y flotá, flotá, el agua en los oídos es una sensación fea, extraña. Mové las piernas, la cabeza dejala flotar, después vas a saber nadar, pero si no flotás no vas a nadar nunca. ¿Hasta cuándo? ¿Cuándo sabré nadar? Una vez más. El sol está en el punto más alto, es mediodía. El agua está más tibia y me canso. Flotá, tomá aire, buceá, otra vez, y otra, y otra. Y otro día, y otro. Hacé la plancha. Ahora que nadás cruzá hasta el fondo, un ancho, después un largo. Atravesar nadando la pileta, llegar a lo hondo, seguir, seguir, aguantar, retener el aire bajo el agua, subir, respirar. El agua ahora está fría, tibia, fría. Y la mirada de él, ahí, en mis movimientos como si le diera cierta tranquilidad el hecho de que yo hubiera aprendido a nadar. Tal vez alegría, no sé. Dormir, dormir, soñar. Soñar con el agua, estoy en el agua, tengo que cruzar, irremediablemente hay que atravesar el ancho de la pileta cuando todos se quedan agarrándose al borde, flotando, nací Tauro, qué voy a hacer. El no está ahí ahora mirando, ahora no está. No sé dónde está pero no está. Vuelve a pasar el tiempo. Escucho otras voces, estoy en otros ámbitos. Ahora es de noche. La fiesta ya empezó, hay música, voces y también silencio, es toda una ilusión, un sueño. Volver a soñar ¿es posible? Soñar suena a sueño, a imposible y sin embargo esa palabra pronunciada por alguien convincente me induce a soñar. Esa noche duermo y sueño, vuelo, estoy en un avión sobre el océano, de pronto caigo en el agua a miles de metros de altura, sobre el mar. Es el océano azul y oscuro, adivino la profundidad mientras me pregunto si sobreviviré a semejante caída, a esa velocidad. Y sin embargo planeo en el aire como un pájaro y caigo y nado y nado entre las olas, estoy a flote, a salvo. Entonces despierto.
Hay que enfrentar un nuevo día, me seco con la toalla blanca y encuentro esperándome en la mesa el café caliente y aromático. Viajaré en tren, miraré el río, trabajaré si puedo, volveré en otro tren. Subo a un radio taxi por las dudas, ya oscurece, debo ir a San Telmo. La nueve de julio es la mejor opción para llegar ahí y el espectáculo empieza en el semáforo.
Malabaristas hacen la función frente a los autos, las esferas dan vueltas, espero la música, la música de las esferas que no llega ¿o si? La mano extendida del adolescente, alguna moneda desde un auto y el taxi arranca haciendo chirriar las gomas. Las luces encendidas de la nueve de julio son el mejor espectáculo de la noche. Si llego viva, pienso, si llego viva a destino tomaré menos café, llamaré a esa amiga con la que no hablo desde hace tanto tiempo. Nos detenemos en otro semáforo: antorchas en las manos de una chica, de musculosa y pantalones negros, pelo corto, ojos oscuros, se ríe, conversa, corre al medio de la avenida mientras dos jóvenes la esperan tetrabrik en la mano, el vino dulce como un sueño en la boca de los dos muchachos. La veré al día siguiente sentada en la plaza que corta la nueve de julio, con cara de sueño y grises ojeras, tetrabrik en los labios jóvenes, dos hombres jóvenes al lado de ella ¿qué destino le espera a esa mujer? Ya es de día, las luces frías de la noche se han extinguido, el sol entra por la ventana, me acomodo en un rinconcito, donde da el sol. Me levanto, pongo el piloto automático.
© Araceli Otamendi
Con piloto automático ha sido publicado inicialmente en la Biblioteca Cervantes virtual y traducido al italiano por María Elena Spikerman para la revista en papel Il foglio clandestino de Milán (Italia).
imagen: tapa de la revista Il foglio clandestino (Milán, Italia)
"Escribo como quien duerme y toda mi vida es un recibo
que sigue sin firmar”.
“Me quejo porque soy débil y porque soy artista, me entretengo tejiendo con musicalidad mis quejas y retocando mis sueños
conforme el modo que encuentro de hacerlos más bellos.
Sólo lamento no ser un niño, para poder creer en mis sueños,
no ser un loco para poder alejar del alma a todos los que me rodean”.
Fernando Pessoa
Cómo me gustaría escribir sobre sedas, tazas de porcelana y otras bellezas, tal vez laúdes o luthiers, sin embargo suena el despertador a las seis y me levanto dispuesta a afrontar el nuevo día que despunta. Sí, despunta y el sol empieza a calentar y estoy de nuevo en pie sacando el tarro de café de la heladera, abriendo la canilla para llenar la jarra de agua fría, oprimo el botón de la cafetera blanca y oprimo también el botón de la pecé, los mails están ahí esperando que los lea mientras voy a lavarme la cara con agua fría para quitarme el sueño, los ojos aún casi cerrados. Paso el agua por los ojos mientras me miro al espejo, quiero lavar el recuerdo de esos sueños que no sé todavía si he soñado.Y el delicioso aroma del café circula por la casa, la invade como un duende invisible, sirvo el café en la taza blanca que nunca usaría si estuviera cascada y mientras lo bebo abro la canilla de la ducha y el agua corre, tibia, caliente, y el sueño también corre. Sueño loco, sueño surrealista, que cósas raras se sueñan. La luz entra por la ventana del baño como en la canción de lennon y maccartney pero era ella, ella la que entraba en la canción de John y de Paul, y también era Lucy en el cielo de diamantes. Algunos chicos caminan con zancos, la escena circense se ilumina en un teatro ¿quiénes son? Yo siempre espectadora del mundo, hasta en los más recónditos sueños. Voy a la cocina y un conejo hierve en el agua, se arremolina hasta quedar hecho una piltrafa, se multiplica como un clon, como en aquél cuento de Cortázar pero ahora nadie vomita un conejito, el conejo sólo hierve en el agua. Pobre conejo blanco. Me voy de ahí a otra parte, si pudiera volver atrás... Primero hay que flotar, ponerse de espaldas y flotar, hundir la cabeza, tomar aire y meter la cabeza en el agua. Está fría, tan fría. No importa, con la cabeza dentro vas a flotar como un pez, poné las piernas derechas y flojas ¿puedo abrir los ojos? Sí, claro. Mosaicos azules, agua cristalina, los ojos bien abiertos en el agua, toco fondo, salgo, saco la cabeza y él está ahí sentado en el borde. Otra vez, ahí, yo te sostengo, dejá las piernas flojas y flotá, flotá, el agua en los oídos es una sensación fea, extraña. Mové las piernas, la cabeza dejala flotar, después vas a saber nadar, pero si no flotás no vas a nadar nunca. ¿Hasta cuándo? ¿Cuándo sabré nadar? Una vez más. El sol está en el punto más alto, es mediodía. El agua está más tibia y me canso. Flotá, tomá aire, buceá, otra vez, y otra, y otra. Y otro día, y otro. Hacé la plancha. Ahora que nadás cruzá hasta el fondo, un ancho, después un largo. Atravesar nadando la pileta, llegar a lo hondo, seguir, seguir, aguantar, retener el aire bajo el agua, subir, respirar. El agua ahora está fría, tibia, fría. Y la mirada de él, ahí, en mis movimientos como si le diera cierta tranquilidad el hecho de que yo hubiera aprendido a nadar. Tal vez alegría, no sé. Dormir, dormir, soñar. Soñar con el agua, estoy en el agua, tengo que cruzar, irremediablemente hay que atravesar el ancho de la pileta cuando todos se quedan agarrándose al borde, flotando, nací Tauro, qué voy a hacer. El no está ahí ahora mirando, ahora no está. No sé dónde está pero no está. Vuelve a pasar el tiempo. Escucho otras voces, estoy en otros ámbitos. Ahora es de noche. La fiesta ya empezó, hay música, voces y también silencio, es toda una ilusión, un sueño. Volver a soñar ¿es posible? Soñar suena a sueño, a imposible y sin embargo esa palabra pronunciada por alguien convincente me induce a soñar. Esa noche duermo y sueño, vuelo, estoy en un avión sobre el océano, de pronto caigo en el agua a miles de metros de altura, sobre el mar. Es el océano azul y oscuro, adivino la profundidad mientras me pregunto si sobreviviré a semejante caída, a esa velocidad. Y sin embargo planeo en el aire como un pájaro y caigo y nado y nado entre las olas, estoy a flote, a salvo. Entonces despierto.
Hay que enfrentar un nuevo día, me seco con la toalla blanca y encuentro esperándome en la mesa el café caliente y aromático. Viajaré en tren, miraré el río, trabajaré si puedo, volveré en otro tren. Subo a un radio taxi por las dudas, ya oscurece, debo ir a San Telmo. La nueve de julio es la mejor opción para llegar ahí y el espectáculo empieza en el semáforo.
Malabaristas hacen la función frente a los autos, las esferas dan vueltas, espero la música, la música de las esferas que no llega ¿o si? La mano extendida del adolescente, alguna moneda desde un auto y el taxi arranca haciendo chirriar las gomas. Las luces encendidas de la nueve de julio son el mejor espectáculo de la noche. Si llego viva, pienso, si llego viva a destino tomaré menos café, llamaré a esa amiga con la que no hablo desde hace tanto tiempo. Nos detenemos en otro semáforo: antorchas en las manos de una chica, de musculosa y pantalones negros, pelo corto, ojos oscuros, se ríe, conversa, corre al medio de la avenida mientras dos jóvenes la esperan tetrabrik en la mano, el vino dulce como un sueño en la boca de los dos muchachos. La veré al día siguiente sentada en la plaza que corta la nueve de julio, con cara de sueño y grises ojeras, tetrabrik en los labios jóvenes, dos hombres jóvenes al lado de ella ¿qué destino le espera a esa mujer? Ya es de día, las luces frías de la noche se han extinguido, el sol entra por la ventana, me acomodo en un rinconcito, donde da el sol. Me levanto, pongo el piloto automático.
© Araceli Otamendi
Con piloto automático ha sido publicado inicialmente en la Biblioteca Cervantes virtual y traducido al italiano por María Elena Spikerman para la revista en papel Il foglio clandestino de Milán (Italia).
imagen: tapa de la revista Il foglio clandestino (Milán, Italia)
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